I giorni di Vetro by Nicoletta Verna

I giorni di Vetro by Nicoletta Verna

autore:Nicoletta Verna [Verna, Nicoletta]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2024-02-20T12:00:00+00:00


23.

Il fascismo finí com’era iniziato: fra le bastonate, le svettole, i cristi ammazzati e le guerre di poveri. Cos’era cambiato in vent’anni? Nessuno sapeva dirlo. Il Duce di punto in bianco scomparve e la gente al Caffè nazionale si chiedeva cosa gli fosse successo. «È morto», supponevano. «L’ha fatto accoppare il re». «L’ha fatto impiccare il papa». «Gli è preso un colpo».

«È vivo. E l’hanno nascosto da qualche parte».

Subito dopo che sparí il Duce, sparí anche Vetro. Uscí come sempre per andare alla Milizia ma si perse da qualche parte, perché non si vide piú. Dopo una settimana, in via san Giovanni con me si trasferí la Marianna con la Rosina, perché in quei giorni spaventosi non era bene stare a casa da soli.

– Non sai che buttasú: sono matti duri, – disse Marianna quando arrivò. – Da Frazchí, l’altra sera, un comunista ha infilato l’ombrello giú per la gola a uno della Casa del fascio, che un altro po’ l’accoppava.

– I comunisti ci sono ancora?

– Per Dio se ci sono. Di notte spaccano le targhe fasciste o ci scrivono sopra «A morte» con il carbone. Il signor Verità è sicuro che ci sarà la rivoluzione.

– Ma adesso quindi chi comanda?

– Comanda Barabba.

La Rosina iniziò a piangere. La Marianna la prese sullo scollo per cullarla.

– E Vetro? – chiese. – Chissà dove si è infilato.

– Vattelapesca.

– Ci manca solo che diventi vedova, Redenta.

Mi balenò nel cuore un barlume di speranza, o di sollievo. Chiesi perdono alla Madonna per quel pensiero.

– Speriamo di no. E di Aurelio ci sono notizie?

– Aurelio sta bene. Me lo sento.

Passò un mese, e quando ormai non lo aspettavo piú riapparve Vetro. Spalancò la porta e si lasciò cadere sulla sedia della cucina senza fiatare né badare se ero viva o morta. Io e la Marianna lo salutammo, ma non rispose. Non sembrava lui. Era invecchiato di cento anni, dimagrito di cento chili, e pareva mangiato dalle streghe. La divisa, che era il suo orgoglio, era sudicia e stracciata, il fez l’aveva smarrito chissà dove. Cosa incredibile, aveva perso la sua lingua sciolta: strascicava le frasi, tartagliava come un bambino che impara a parlare. Non sapevo se mi spaventava di piú prima oppure adesso.

– Tu va’ a casa tua, – farfugliò alla Marianna. – Per strada fermati da Frazchí e di’ a tuo padre di venire alla svelta.

Marianna scappò via con la Rosina, e Vetro lanciò uno sguardo smanioso fuori dalla finestra.

– Mi ha cercato qualcuno, in queste settimane?

– No.

Si alzò insofferente, corse nella nostra camera e si levò la divisa. La chiuse nell’armadio, vicino al vestito da sposa, e si buttò addosso una camicia scozzese e dei calzoni marron che gli cascavano da tutte le parti. Era spettinato, sporco e con la barba ispida. Per la prima volta dava l’impressione di non dominare l’occhio buono, che vagava di qua e di là per conto suo mentre quello fasullo era fermo immobile. Ora si capiva bene che era strabico, e rassomigliava a quegli intavanati che chiedevano la carità per Castrocaro, la domenica, fuori dalla chiesa.



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